Design anni Venti e Trenta: Déco, Bauhaus, razionalismo

All’indomani del primo conflitto mondiale il mondo artistico e del design si dovette confrontare con tendenze opposte: da un lato un desiderio di conservatorismo che si opponeva a ogni tipo di cambiamento, dall’altro l’emergere di forze e iniziative inaspettate. Una delle tendenze prevalenti fu la ricerca di uno stile estetico che riflettesse l’idea degli “Uomini nuovi” e dove prevalevano forme lucide, slanciate unite a colori puri e brillanti con la scelta radicale di evitare tutto il superfluo. Questo purismo artistico finì per scoprire anche nel “tubo di acciaio” un elemento artistico determinante per il design.

Nel 1919 a Weimar, sotto la direzione di Walter Gropius sorse il Bauhaus, i cui principi fondanti furono enunciati dallo stesso Gropius «il Bauhaus vuol promuovere il moderno sviluppo dell’abitazione, delle semplici suppellettili all’interno della casa […] Il risultato di questa ricerca è che una decisa considerazione di tutti i metodi moderni di produzione, delle costruzioni e dei materiali, porta a forme che, divergenti dalla tradizione, hanno spesso un aspetto insolito e sorprendente». (Design di mobili …, p. 95) La linearità nelle costruzioni e nel design si sviluppò presto in tutta Europa: simbolo ne fu la sedia Wassily, la prima poltrona in tubo d’acciaio disegnata da Marcel Breuer, uno dei primi allievi di Gropius.

Il nuovo stile architettonico moderno venne presentato ufficialmente alla mostra Die Wohnung organizzata a Stoccarda nel 1927 in occasione della quale vennero mostrati materiali da costruzione, arredamenti e concetti d’abitazione nuovi. L’idea di fondo di questa nuova architettura risiedeva in un più ampio progetto culturale: il razionalismo e l’essenziale dovevano tradursi in un generale progetto di riforma razionale che doveva passare dalla scuola alla società: gli appartamenti dovevano riflettere l’essenziale con il principio di fondo che «rinunciare ad intagli, imitazioni e a costose impiallacciature non significa certamente imbruttire l’arredamento». (Design di mobili …, p. 107)

L’avvento del regime nazista segnò la fine delle forze progressiste accusate di essere “arte degenerata”: il Bauhaus venne disgregato e le persecuzioni contro gli artisti “degenerati” assunsero dimensioni spaventose, i mobili e gli oggetti furono in parte distrutti per lasciare spazio all’arte e all’architettura del Reich.

Il nuovo design, che in numerosi paesi europei, veniva dileggiato come “bolscevismo culturale”, in Italia fu al contrario apprezzato dal regime fascista per la sua dimensione essenziale e avanguardistica, come dimostrano le Triennali di Milano, vere vetrine del design italiano e che dal 1933 vennero ufficialmente definite: «Triennali internazionali delle arti decorative e industriali moderne e dell’architettura moderna». In Italia gli architetti e i decoratori degli anni Trenta (ricordiamo tra gli altri Giuseppe Terragni, Gio Ponti e Gabriele Mucchi) si dedicarono essenzialmente alla trasformazione interna di vecchi edifici. A causa della politica autarchica ci si dovette confrontare con la mancanza di materie prime, in particolare il legno, e quindi ci si “adattò” a utilizzare materiali di cui il paese era ricco: il ferro e l’acciaio o i mobili in compensato di Alvar Aalto.

Ulteriore momento di innovazione fu determinato dall’Exposition Internazionale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes tenutasi a Parigi nel 1925, in occasione della quale l’architetto Le Corbusier (vero nome Charles-Edouard Jeanneret-Gris) presentò al pubblico il suo Pavillon de l’Esprit Nouveau seguendo il principio secondo cui «si devono chiarire le necessità tipiche di un appartamento, le soluzioni vanno trovate allo stesso modo in cui si procede per un vagone ferroviario o per utensili» (Design di mobili …, p. 98). Le Corbusier presentò una casa concepita come una «machine à habiter»: un cubo rigido con grandi pareti di vetro all’esterno e all’interno un salone aperto con galleria adibita a stanza da letto; i mobili invece venivano intesi come équipement.

L’esposizione di Parigi fu in realtà un momento di rivelazione al grande pubblico di uno stile, il Dèco (che dall’esposizione prendeva il nome), nato all’inizio del secolo nella capitale francese e utilizzato principalmente per la produzione di oggetti d’arredamento, di ceramiche, di gioielli e di tessuti. Sorto in reazione all’elaborato stile dell’Art Nouveau, il Déco si caratterizzò principalmente per le linee pulite, la simmetria e l’eleganza delle forme così come per la preferenza per materiali lucidi quali il metallo cromato, lo smalto e la pietra. Tra il 1920 e il 1925 gli interni Déco si distinsero per un’unione tra i colori vivaci e le adattazioni dei mobili stile Direttorio e Impero, abbassando nettamente l’altezza dei mobili e dei tavoli. In particolare il Déco “inventó” il tavolino basso, da cocktail, ispirato direttamente dall’Oriente, da cui lo stile fu fortemente influenzato, in particolare per la grande presenza di mobili laccati. I fabbricanti di mobili Déco utilizzarono tutti i tipi di legno pregiato, aggiungendo finiture in avorio.

Questo stile, che caratterizzò di fatto il periodo fra le due guerre mondiali, si distinse tra un primo periodo segnato da un’eleganza più morbida ed estenuata e una seconda fase dalle linee più decise. Negli corso anni il Déco subí l’influenza delle nuove mode: uno stile “neo-egiziano” derivato dalla scoperta della tomba di Tutankamen nel 1922, uno stile più esotico e ispirato dalla culture indigene nella seconda metà degli anni Venti o ancora un’influenza coloniale derivata dall’Esposizione coloniale del 1927. Ulteriore spinta alla geometrizzazione e linearità delle forme venne poi dagli Stati Uniti, che nel corso degli anni Trenta si sostituirono alla Francia nella produzione di oggetti e arredi. Anche in Italia vi furono designer che eccelsero nella produzione Dèco quali Marcello Dudovich, Leonetto Cappiello e Gio Ponti.

Il Déco andò sempre più diffondendosi come sinonimo di gusto, dal momento che conquistò in massima parte le classi medie e la piccola borghesia: l’avvento della crisi del ’29 e la riconversione dell’economia verso una produzione rivolta a un pubblico sempre più popolare, ma sempre conservando le linee essenziali dello stile.

Elena Musiani

Kluas Jürgen Sembach, Gabriele Leuthäuser, Peter Gössel, Design di mobili del XX secolo, Köln, Taschen Verlag, 1990

Edward Lucie-Smith, Histoire du mobilier, Paris, Thames & Hudson, 1990

Dario Matteoni, Il gusto déco: non solo uno stile, in Arte in Italia. Déco, 1919-1939, a cura di Francesca Cagianelli, Dario Mateoni, Milano, Silvana Editoriale, 2009, pp. 12-19

Arte in Italia. Déco, 1919-1939, a cura di Francesca Cagianelli, Dario Mateoni, Milano, Silvana Editoriale, 2009

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<i>Grand Salon</i> della nave <i>Normandie</i>

Grand Salon della nave Normandie, massimo esempio delle arti decorative francesi (in Edward Lucie-Smith, Histoire du mobilier, Paris, Thames & Hudson, 1990)


Il <i>Salotto di vetro</i>, ideato dalla decoratrice Suzanne Talbot (1919-1922)

Il Salotto di vetro, ideato dalla decoratrice Suzanne Talbot (1919-1922), in (in Edward Lucie-Smith, Histoire du mobilier, Paris, Thames & Hudson, 1990)


Salottino (Villino Boni, Forlì)

Salottino (Villino Boni, Forlì)


Poltrona estendibile e con rivestimento stoffa a fantasia animale (Collezione HGS di Franco Girotti, Forlì)

Poltrona estendibile e con rivestimento stoffa a fantasia animale (Collezione HGS di Franco Girotti, Forlì)


Consolle (Villino Lombardi, Forlì)

Consolle (Villino Lombardi, Forlì)


Coppia di sedie con tavolino dalle Terme di Castrocaro (Collezione di Franco Girotti, Forlì)

Coppia di sedie con tavolino dalle Terme di Castrocaro (Collezione di Franco Girotti, Forlì)