Il telefono
Come per gli altri strumenti della modernità, anche per quel che riguarda la diffusione del telefono l’Italia dimostra fino al secondo dopoguerra una certa lentezza.
Al 1937, infatti, ci sono circa 611.000 apparecchi, contro il milione e mezzo della Francia o i tre milioni della Gran Bretagna, per non parlare dei quasi 18 milioni e mezzo degli Stati Uniti.
Il percorso tecnico di sviluppo del telefono, come sistema di comunicazione senza spostamento fisico nello spazio di supporti materiali, registra un’accelerazione a partire dallo sviluppo del telegrafo ottico del francese Chappe (1791).
Il passo successivo è segnato dal telegrafo a 25 fili, uno per ogni lettera dell’alfabeto, del russo Sommering (1808), quindi, nel 1837, da Morse e dal suo telegrafo elettrico, per arrivare al 1876 al vero e proprio apparecchio telefonico di Bell, che Meucci aveva anticipato con varie sperimentazioni a partire dal 1849 senza però avere i soldi per brevettare le sue trovate.
L’«Illustrazione italiana» parla per la prima volta del telefono il 13 maggio 1877. Ad un anno di distanza ritorna sull’argomento per dare notizia del telefono a “viva voce” del fisico bolognese Augusto Righi.
Al 1881 l’Italia vanta circa 900 utenti telefonici ma in Francia e Inghilterra sono già il triplo. Tre anni dopo a Bologna gli utenti sono 436.
Naturalmente l’utilità del nuovo strumento è tanto maggiore quanto più numerosi sono gli abbonati e le possibilità di collegamento ma, all’inizio, ci sono più concessionarie nella medesima città ed è necessario essere abbonati alla stessa concessionaria per entrare in comunicazione con altri utenti.
Il 15 luglio 1907 il servizio telefonico si avvia ad essere preso direttamente in carico dallo Stato, mettendo fine a quell’incertezza gestionale che aveva impedito alle concessionarie private di fare investimenti di lungo periodo. Nonostante ciò, lo sviluppo è ancora lento. L’Italia nel 1925 è, per densità di apparecchi, al 14° posto in Europa, con 0,5 apparecchi ogni 100 abitanti, dietro anche a Cecoslovacchia e Ungheria.
Nello stesso anno la penisola viene divisa in cinque zone affidate nuovamente ad altrettante concessionarie private per la gestione delle reti cittadine e a media distanza, mentre lo Stato mantiene la gestione della rete a grande distanza. Nel 1933, però, il controllo statale torna ad essere esercitato sulle tre concessionarie del centro nord, che passano sotto il controllo dell’IRI.
Prima dello scoppio della guerra la commutazione automatica, senza l’operatrice, raggiunge l’83% e i posti telefonici pubblici arrivano a 10.000 unità ma, al 1940, 1300 comuni sono ancora senza telefono e, ad ogni modo, gli utenti sono solo 512.000.
Per molti italiani, quindi, il telefono è ancora un oggetto ben lontano dall’essere inserito nella quotidianità e, se già nella versione comune, nera, è appannaggio di pochi, nella versione bianca assurge a simbolo di status, dando addirittura il nome ad un genere cinematografico che attraversa tutti gli anni Trenta con film come “La segretaria privata”, 1931, o “Mille lire al mese”, 1939.
Criticati dai fascisti più radicali, che attribuiscono al cinema esclusivamente una funzione pedagogica e propagandistica, i film dei “telefoni bianchi”, sono pellicole leggere ispirate alla commedia americana, accomunabili dall’ambientazione moderna e ricca, ove il telefono è parte integrante di una vagheggiata società del benessere dai consumi più alti.
Maria Chiara Liguori
Piero Bianucci, Il telefono la tua voce. Storia, aspetti e problemi della telefonia in Italia, Firenze, Valsecchi, 1978
Davide Borrelli, Il filo dei discorsi. Teoria e storia sociale del telefono, Roma, Luca Sossella Ed., 2000
Giovanni De Luna, La passione e la ragione: il mestiere dello storico contemporaneo, Pearson Paravia Bruno Mondadori, 2004