Il Villaggio della Rivoluzione Fascista: l’espressione delle moderne urbanistica e architettura

Per beneficiare le famiglie dei feriti, mutilati e caduti per la Rivoluzione Fascista, l’amministrazione fascista bolognese commissionò nel 1936 allo IFACP (Istituto Fascista Autonomo per le Case Popolari) la costruzione di un quartiere che prese il nome di “Villaggio della Rivoluzione Fascista”. Il quartiere doveva essere espressione della modernità raggiunta sia nel campo dell’urbanistica che in quello dell’architettura, così da diventare il fiore all’occhiello del PNF locale.

Il Villaggio comprende 78 alloggi, suddivisi in 16 edifici residenziali a carattere estensivo o semi intensivo, e un asilo nido. Gli edifici a carattere semintensivo sono di due tipologie: tre blocchi in linea di quattro piani con un corpo scale singolo a servizio di 8 appartamenti, e altri due, della medesima altezza, con due corpi scale a servizio di 16 appartamenti. Gli alloggi hanno tagli tipologici differenziati così da poter ospitare nuclei di abitanti di diverso genere. Nonostante la parvenza di intervento di edilizia popolare, in quanto commissionato allo IFACP e costituito da edifici in linea, tipologia edilizia normalmente utilizzata per interventi a favore degli strati meno abbienti della popolazione, gli appartamenti in questione rientrano nell’ambito dell’edilizia a carattere economico piuttosto che popolare. I servizi a disposizione degli abitanti sono di qualità elevata (ogni nucleo familiare possiede una cantina privata nel seminterrato dove si trova anche un locale lavanderia a servizio esclusivo dell’edificio), la metratura dei singoli alloggi è ampia, ogni appartamento comprende uno o due balconi e la qualità e la cura nelle finiture è alta.

Questi cinque edifici sono posti al limite esterno del quartiere, quasi a proteggerlo dal traffico delle strade circostanti, e da una breccia nella cortina da loro creata si accede al vero cuore del Villaggio, lì dove si trovano 11 villette bifamiliari immerse nel verde dei propri giardini privati. Le villette hanno una metratura maggiore rispetto agli appartamenti dei blocchi in linea e sono costituite da due piani fuori terra e da un seminterrato dove si trova la lavanderia e un’autorimessa. Negli anni ‘30 non era certo cosa da tutti possedere un’automobile e la presenza dei garages a servizio degli alloggi dimostra come questa tipologia fosse destinata a persone di una classe sociale ancora più alta rispetto a quelle dei blocchi in linea a confine del Villaggio. In posizione riparata, lontano dalle strade e immersa nell’area verde più ampia del quartiere, si trova l’asilo nido a due piani progettato per ospitare fino a 60 bambini.

Lo stile architettonico degli edifici è quello tipico della corrente tardo razionalista: forme nette e pulite, tetti piani, essenzialità nel disegno delle facciate, mancanza di elementi decorativi e uso di intonaco di colore chiaro. Questi elementi sono poi stati reinterpretati da Francesco Santini (1904-1976), il progettista, secondo il suo stile personale, visibile nell’articolazione dei volumi, nel gioco di pieni e vuoti sulle facciate, ulteriormente sottolineato dall’uso del colore, e nella cura nei dettagli e nell’uso dei diversi materiali. Il Villaggio è stato concepito come intervento unitario caratterizzato da una grandissima uniformità estetica. Il linguaggio architettonico è il medesimo tra gli edifici delle tre tipologie, così i basamenti sono tutti in mattoni a vista, le cornici delle bucature delle finestre sono tutte in pietra artificiale di colore chiaro e gli elementi come gli infissi, i portoncini di ingresso, le grate e i cancelli sono uguali tra loro. Anche a livello cromatico vi è una grande uniformità: gli intonaci hanno tinte chiare, in contrapposizione al rosso mattone del basamento, gli edifici in linea sono bianchi, colore simbolo del Movimento Moderno, ad eccezione che all'interno delle logge dove sono giallo chiaro, così come le villette. Sempre gialli, ma di una tonalità un po’ più scura, sono anche i muri di recinzione che circondano tutti gli isolati del quartiere, elementi che, nella loro soluzione di continuità anche in corrispondenza delle diverse proprietà, sottolineano ancora una volta la volontà di distinguere il Villaggio da tutti gli altri edifici della zona.

La portata propagandistica dell’intervento è sottolineata dalla presenza di un materiale da costruzione moderno come il cemento armato, il cui uso, a causa delle limitazioni nell’utilizzo del ferro dovute alla politica autarchica, era raramente consentito negli interventi residenziali, ancora di più se di tipo popolare come quelli normalmente fatti dallo IFACP. Il cemento armato è in realtà impiegato solo per una piccola percentuale della costruzione (la parte strutturale dei solai) ma, per far trasparire il concetto di “modernità” derivante dal suo utilizzo, l’architetto inserisce comunque delle forme che ne simulano la presenza. Così i balconi dagli angoli arrotondati o l’edificio in linea che si piega a seguire l’andamento della strada camuffano nella loro plasticità la loro anima che, invece di essere di moderno cemento, è di semplici e tradizionali mattoni.

Beatrice Chiavarini

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L'accesso al Villaggio tra i due edifici in linea della tipologia a due corpi scale (Archivio fotografico Acer)

L'accesso al Villaggio tra i due edifici in linea della tipologia a due corpi scale (Archivio fotografico Acer)


Uno degli edifici in linea della tipologia con un solo corpo scale (Archivio fotografico Acer)

Uno degli edifici in linea della tipologia con un solo corpo scale (Archivio fotografico Acer)


Villetta bifamiliare (Archivio fotografico Acer)

Villetta bifamiliare (Archivio fotografico Acer)


L'asilo nido (Archivio fotografico Acer)

L'asilo nido (Archivio fotografico Acer)

Le villette in costruzione (Archivio fotografico Acer)

Le villette in costruzione (Archivio fotografico Acer)